“Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati al fondo. Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c’è, e non è pensabile. Nulla più è nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga.”
Non più scarpe, né abiti, né capelli, né nomi.
Primo Levi racconta, sempre, drammaticamente, il tentativo di cancellare tutto, di lasciare il nulla. Di azzerare l’esistenza di un popolo, di negarne la stessa nascita.
Cancellare, cancellare, cancellare.
Un forno trasforma tutto in una cenere opaca, celebrando l’irriconoscibile.
E’ finita, i campi di concentramento sono chiusi, le vittime e gli aguzzini stanno scomparendo poco a poco, mentre il tempo scorre entrambi invecchiano e muoiono, ache ci serve un giorno dl ricordo?
E’ successo allora, si è ripetuto ancora in forme diverse e su altre persone. Ogni volta che una persona perde il diritto di essere se stessa, è una piccola o grande, ma infame Shoa.
Credo che questo sia uno dei motivi per cui, mai, dovremo dimenticare.
Credo che questo sia un motivo per ricordarlo, con molto rispetto, sempre, anche ai nostri figli.
Fermiamoci un attimo, e ricordiamo. Per scongiurare la nascita di nuovi mostri che solo pensino di poter cancellare altre persone.